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Salerno nel destino: Inzaghi e l’Arechi, lo stadio dove realizzò il sogno di ogni bambino

Le prime due reti in azzurro in quello che diventerà il "suo" nuovo stadio

Salerno nel destino. La magia di un gol sotto la Curva Sud dell’Arechi. Un sogno diventato realtà per pochi bimbi che, tirando due calci ad un pallone, chiudono gli occhi e si immaginano con la maglia della Salernitana, pronti a “far cadere” il settore caldo del “principe degli stadi”. Un sogno, quello raccontato nell’articolo a cura di Alessandro Mosca per Macchie d’Inkiostro (QUI IL LINK) che ha realizzato anche un ragazzo di Piacenza, ormai diventato uomo, che proprio davanti a quel “muro umano” ha concretizzato un altro desiderio, condiviso da tanti giovanissimi – cresciuti a Salerno così come in ogni altra parte dello Stivale – che un giorno sperano di poter esultare indossando la casacca della Nazionale italiana.

Oggi, a distanza di quasi 25 anni, quel ragazzo emiliano pronto a esplodere nel firmamento del calcio da attaccante micidiale, è diventato l’allenatore della Salernitana. Provate a chiedere a Filippo Inzaghi cosa significhi per lui la Curva Sud dell’Arechi. Perché “super Pippo”, proprio su quel prato verde, ha trovato le sue prime reti con gli azzurri. Di quell’Italia-Spagna 2-2, amichevole per le vittime dell’alluvione di Sarno disputata a Salerno dalla formazione allenata da Dino Zoff, decisa a riprendersi dopo la “maledetta traversa” colpita da Gigi Di Biagio nei quarti di finale dei Mondiali contro i padroni di casa della Francia, restano poche tracce.

Fu proprio la Sud a “benedire” la prima volta di Inzaghi: il numero 10 di quella squadra, un certo Francesco Totti, lo lanciò in profondità. Lui anticipò il movimento dei difensori delle “furie rosse”, si portò avanti il pallone con il petto e con un destro velenoso fece secco Santiago Canizares, il portiere del “Valencia dei miracoli” di Hector Cuper, facendo “crollare” il muro umano del cuore caldo della torcida dell’Arechi. Inzaghi, si sa, da calciatore non era uno che sapeva accontentarsi. Viveva per il gol e lo cercava con un’ostinazione tale da trasformarlo in un rapace dell’area di rigore. Già allora quella “malattia” lo aveva contagiato. Lui non si accontentò di quella rete. E nel secondo tempo fu capace di ripetersi, questa volta sotto la Curva Nord. La sua seconda realizzazione in azzurro è forse ancora più bella: Damiano Tommasi saltò netto Valeron a centrocampo servendo “super Pippo” in area di rigore. Inzaghi fece vedere una delle specialità della casa: con un movimento d’astuzia, s’appoggiò al marcatore spagnolo, liberandosi lo spazio per battere di nuovo Canizares. Poi corse verso la tribuna, con le braccia larghe, esultando come allo stadio Olimpico di Atene nella finale di Champions fra Milan-Liverpool, come nell’Arena di Amburgo dopo la rete dello 0-2 sulla Repubblica Ceca nel Mondiale del 2006, come chissà quante altre centinaia di volte (tra le quali una tripletta proprio contro i granata quando giocava nella Juventus e due reti con il Piacenza di Gigi Cagni nella stagione ’94-’94).

Ora quella Curva, nel frattempo diventata per tutti la Siberiano, proverà a farla esplodere, ma in un’altra veste. Quella di allenatore della Salernitana, chiamata a rialzare la testa a iniziare a correre verso la salvezza dopo un avvio di campionato tremendo, costato la panchina a Paulo Sousa. Con la voglia di rilanciare la propria nuova carriera in serie A dopo aver appeso le scarpette al chiodo, e le esperienza poco fortunate con Milan, Bologna e Benevento. Per far sì che Salerno diventi definitivamente la città del suo destino…

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