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Salernitana, Iervolino sui rapporti con calciatori: “Per noi solo doveri, costretti a pagare giocatori che si rifiutano di giocare e fanno perdere un patrimonio”

Il patron granata ha parlato anche di riforme e del sistema calcio da provare a modernizzare

Non solo un’analisi sul recente passato della Salernitana, da Paulo Sousa a Filippo Inzaghi, da Davide Nicola a Franck Ribery. Nell’intervista esclusiva rilasciata a TuttoSport, pubblicata nella giornata di ieri, venerdì 22 marzo, Danilo Iervolino si è lasciato andare anche a lunghe riflessioni sul mondo del calcio, sulle riforme che ritiene necessarie, e sulla revisione dei rapporti con calciatori e agenti.

Il tipo di rapporto attuale è il vero male del calcio. Le società dovrebbero avere delle vie d’uscita legate alle condizioni che cambiano rispetto al momento della firma, per esempio una retrocessione o un mancato obiettivo economico. E poi non è più ammissibile che ci voglia l’accettazione del giocatore a un cambio di squadra a parità di condizioni economiche. Ci vorrebbero inoltre delle clausole risolutive espresse: se non fai un tot numero di gol, se non hai il rendimento preventivato deve essere possibile risolvere il contratto con tutele fatte da norme federali. Altrimenti si appesantiscono i bilanci e un club che sbaglia 4 giocatori paga un conto troppo salato con contratti pluriennali da onorare senza un vero perché. Il nostro modello industriale è monco, perché sei nelle mani dei calciatori che, se decidono di non giocare, intanto ti fanno perdere un patrimonio e poi devi pagarli comunque“. Il riferimento sembra diretto a Boulaye Dia, con il quale però, dopo l’ipotesi dell’istanza al Collegio Arbitrale sembra essere scattato il piano B, quello della conciliazione (qui tutti i dettagli).

Iervolino prosegue: “Nel calcio ognuno lavora ai propri interessi, a partire dai calciatori. A parte quelli che giocano nei top club tutti sognano di andare in squadre migliori e guadagnare di più, ma così, dopo tre partite andate bene, vogliono più soldi e andare via, viceversa se le sbagliano non è mai colpa loro, ma, tuttalpiù, del tecnico o dei compagni di squadra. Devono capire che sono dei superatleti e che devono dimostrare attaccamento e professionalità ala squadra, invece sembrano geneticamente modificati a perseguire i loro interessi, condizionati da agenti e famigliari assortiti. Il rapporto con i procuratori deve essere rivisto con interessi allineati. La situazione è figlia di un sindacato che in modo eccessivamente conveniente per la categoria ha cercato di ottenere tutti i vantaggi, ha discapito dei club che non ne hanno, anzi hanno solo doveri”. 

Il patron granata si è espresso poi anche sul tema della serie A a 18 squadre: “Io sono per la serie A a 20 squadre! Credo che arriverebbero solo svantaggi con la riduzione, deprimendo la rappresentanza sul territorio e abbassando lo spettacolo, il nostro è un campionato difficile e le piccole spesso vincono o pareggiano con le grandi. Io non riesco a vedere vantaggi nella riduzione a 18, se non per chi ha bisogno di giocare un po’ meno per le coppe”. 

Gli altri punti cardine per l’imprenditore campano: “Non solo riforma del rapporto contrattuale con i giocatori, ma anche la possibilità di inserire una regola che non consenta l’iscrizione ai campionati a chi non può garantire la sostenibilità, una riforma del sistema arbitrale, che non per far polemica, sta scontentando quasi tutti e dovrebbe rinnovarsi pensando ad esempio di creare un albo professionale ad hoc, il rapporto professionali con gli agenti che deve essere rivisto, un maggiore convergenza in Lega per creare un sistema, pur nella sana concorrenza. Non si riesce a capire chi deve farle queste benedette riforme, e in che modo: la Figc o la Lega? Entrambe? E così il meccanismo si inceppa”. 

QUI LA PRIMA PARTE DELL’INTERVISTA

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