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Salernitana, “Rado” ricorda: “Salvezza qualcosa di unico! Mi hanno cacciato, meritavo…”

Il serbo racconta: “Meritavo di salutare anche io l’Arechi: solo degli uomini folli potevano riuscire nell’impresa dello scorso anno”

Il triplice fischio finale di Salernitana-Udinese, la corsa a perdifiato con un fumogeno stretto tra le mani diventato un simbolo della salvezza, emblema con tanto di stendardo “Brigata Radovanovic” esposto in curva. “Quell’immagine è diventata un tatuaggio sul mio petto: un momento incancellabile”. Ivan Radovanovic chiude gli occhi e ritorna al 22 maggio 2022, all’ultima tappa di un percorso incredibile, di una rincorsa da brividi che fa rima con storia. “Quella partita resta l’epilogo di una cavalcata straordinaria. Se solo ripenso a quando arrivammo a gennaio già con l’etichetta di squadra retrocessi ho i brividi. Il direttore Sabatini seppe scegliere prima gli uomini e poi i calciatori. Faticammo all’inizio ma poi siamo riusciti a realizzare qualcosa di incredibile. Ho due scene indimenticabili: la prima è ad Empoli. Uscimmo dall’albergo a Firenze: appena arrivammo ad Empoli vedemmo una città tutta colorata di granata. Ci fu quel pareggio che seguì la partita con l’Udinese. Una storia incredibile, una sconfitta impronosticabile. Eppure, mentre ero in campo e vedevo scorrere i minuti, ero sicuro che ci saremmo salvati. Lo meritavamo per quello che avevamo fatto, per quanto avevamo sofferto. Nella mia carriera con il Genoa e con il Chievo ho raggiunto tanti obiettivi ma quanto fatto a Salerno resta qualcosa di unico”.

Il serbo si racconta al quotidiano “La Città di Salerno”. “Mancavano sei mesi alla fine del mio contratto, sapevo che sarei andato via al termine della stagione. Volevo solo restare ancora in una terra che mi ha adottato, in cui la mia famiglia si è integrata perfettamente, permettere alle mie figlie di continuare la scuola e coltivare le loro amicizie. Tutto questo mi è stato negato. Sono stato cacciato via, con qualcuno che ha dubitato addirittura della mia professionalità. Ho vissuto quindici anni in Italia, rispettando questo paese, i club in cui ho militato. Eppure sono stato emarginato, minacciato anche di dover finire davanti al Collegio Arbitrale. Così ho ceduto e ho preferito andar via, costringendo la mia famiglia a dover rinunciare alla propria felicità. Non riesco nemmeno a seguire la squadra: è una ferita che fa ancora male”.

Un epilogo amaro ma che non scalfisce l’amore di Radovanovic per Salerno. “Mi è dispiaciuto non poter salutare l’Arechi, uno stadio che sin dal primo secondo mi ha dato energia, carica, affetto. Spero che la squadra possa vincere perché lo meritano loro e chi, anche se in secondo piano, lavora silenziosamente ogni singolo minuto per il bene di questa società. A loro va il mio pensiero, a chi piangeva negli spogliatoi dopo la sconfitta per 8-2 con l’Atalanta. Prima o poi ritornerò in città, con la mia famiglia e le mie figlie per godermi ancora la bellezza di Salerno”.

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